Prima di partire, più e più volte avevo provato ad immaginare l’Armenia, ipotizzavo un paese storicamente valido, colmo di bellezza venusta memore del suo passato gloriso, una landa però ancorata al passato e poco attenta al contemporaneo. Arrivando a Yerevan si hanno sensazioni contrastanti, una città di chiaro stampo sovietico dove però l’ostentata occidentalità ha oscurato tante particolarità, l’essenza armena la si respira nei dintorni, nei templi e nei molti monumenti dedicati al genocidio.
Immancabile è una breve visita all’arco di Charents, dove si può ammirare il monte Ararat, simbolo dell’Armenia, incastonato in una piccola costruzione che incornicia il profilo imponente del monte che però è adagiato in territorio turco. Emblema del periodo pre-cristiano dell’Armenia, si palesa il Tempio di Garni, edificio in stile ionico di cui non si conosce l’esatta destinazione d’uso ipotizzando potesse essere una tomba anzichè un luogo di culto.
Passando per il Monastero di Geghard e Abovyan abbiamo dei chiari esempi dell’architettura spirituale del paese, seppur costruiti in epoche completamente diverse (la prima nel 1215 e la seconda nel 2013) notiamo la costante attenzione nei confronti della religione e di un credo onnipresente nella vita del popolo armeno.
Meritano una breve sosta anche le rovine di Zvartnots sulle spoglie della maestosa Cattedrale di San Gregorio Illuminatore, distrutta poi nel 930 d.C. da un violento terremoto. Meravigliose colonne sorregono archi che rimandano ad un impianto a croce greca a tre navate, circondate da una maestosa vista sul monte Ararat.
Ultimo punto è il monumento dedicato al genocidio armeno, toccante sino alle lacrime, in ricordo degli 1,5 milioni di morti, di un momento storico non ancora riconosciuto da alcuni paesi ma che ha lasciato nel cuore del popolo armeno una pronfonda ferita non ancora rimarginata.
L’Armenia è un paese meraviglioso, un paese ancora lontano dalla globalizzazione di massa, dove si può ancora ammirare un monumento senza orde di turisti, assaporare momenti di solitudine e poter godere dell’eredità storica del territorio con placidità e pacatezza.