Ci sono posti al mondo che appaiono appetibili ed interessanti all’occhio vispo del viaggiatore ed altri che stancamente raccontano storie e la cui bellezza non si palesa prepotentemente, ma va cercata aldilà della barricata. È il caso della Bielorussia, dai più considerata un paese poco attraente ma che, conoscendone la storia, si appresta timidamente ad accendere quel fuoco che motiva solo i viaggiatori seriali.
Impossibile raccontare la Bielorussia se non si fa prima un rapido accenno ai rapporti che la legano alla Russia. La Bielorussia è una repubblica presidenziale e l’attuale presidente è Aljaksandr Lukašėnka governa il paese dal lontano 1994. Le lingue ufficiali sono il bielorusso e il russo dal 1995.
I rapporti tra il presidente bielorusso e quello russo Vladimir Putin non sono mai stati idilliaci e anche la cooperazione tra le due ex repubbliche sovietiche è sempre stata impostata più sul pragmatismo e i reciproci vantaggi che sulla condivisione di valori e ideali.
Lukashenko è al vertice del Paese dal 1994, Putin dal 2000. In oltre vent’anni di cooperazione Minsk e Mosca hanno avuto alti e bassi, ma dal 2020, da quando dopo le elezioni presidenziali in Bielorussia il presidente ha scelto la dura repressione dell’opposizione e l’isolamento dall’Occidente, i rapporti si sono fatti molto più stretti. Ora, con lo scoppio del conflitto fra Ucraina e Bielorussia, quest’ultima sembra aver scelto la funzione di stato-cuscinetto. Ma cosa c’è aldilà di questo isolamento?
Sono ormai note le terrificanti immagini del confine bielorusso-polacco che mostrano centinaia di rifugiati che si dondolano e lanciano a terra una recinzione metallica, e dall’altra parte del confine, distaccamenti armati di soldati polacchi in alta uniforme pronti ad intervenire dietro il filo spinato.
Ed io ho provato a varcare il confine bielorusso dalla Polonia. La richiesta del visto turistico è quanto di più difficile si possa immaginare, un fitto labirinto di visite in ambasciata e la produzione di una quantità innumerevole di scartoffie.
Attraverso il valico di Terespol, sono arrivata a Brest, in Bielorussia. Ultimo paese europeo “sotto dittatura” e l’ultimo in cui vige ancora ahimè, la pena di morte. A 50 km dal confine ucraino, Brest sta affrontando in questo preciso periodo storico, una crisi senza eguali. Migliaia di profughi ammassati al confine tra Polonia e Bielorussia, cercano di entrare in Europa. Nella foresta di Białowieża, la Polonia ha innalzato un muro lungo 186 km e alto 5 metri e mezzo dal costo di 353 milioni di euro. Lì quasi un milione di profughi ucraini “sopravvive” in condizioni deplorevoli.
La prima impressione che si percepisce approdando a Brest è di essere rimasti incapsulati nel tempo, di essere fermi agli anni ’80 e di trovarsi isolati nonostante i 10 km che la dividono dalla Polonia, membro dell’Unione europea, della NATO e dell’ONU.
La maggioranza della popolazione non parla inglese e anche solo il banale gesto di prenotare un taxi diventa impossibile qualora non si conosca il russo. Il fatto che la Bielorussia sia schiacciata da una pesante dittatura si piò percepisce nettamente. Lo si percepisce da quella pulizia maniacale nelle strade, da quel non volersi esporre con i turisti e da quel controllo soffocante alla frontiera.
Amnesty International nel 2022 ha denunciato ben 16 fatti che violano i più basilari diritti umani.
Per quanto riguarda lo spinoso argomento della pena di morte (ancora in vigore nell’ex paese sovietico):
a maggio, una modifica alla legge in vigore ha esteso l’applicazione della pena di morte ai “tentati reati” nei casi legati al terrorismo, in violazione degli obblighi del paese in quanto stato parte dell’Iccpr2.
A dicembre, il parlamento ha approvato in prima lettura una legge che introduce la pena di morte per tradimento commesso da pubblici ufficiali o personale militare. Segno di una repressione sempre più dura contro chi decide di tradire la dittatura.
In visita alla fortezza di Brest un episodio ha colpito la mia attenzione. Nel grande parco attorno alla fortezza erano esposti diversi carri armati, tutt’intorno una schiera di bimbi sorridenti. Uno su tutti però, ha colpito la mia attenzione. Senza pensarci su, è salito, si è messo in posa e mi ha sorriso. Ho provato a immaginare la vita di chi sta crescendo in un paese tra i più poveri in Europa, isolato politicamente e così vicino a un conflitto terrificante come quello ucraino.
Ho trovato dolcemente struggente il sorriso di questo bimbo a cui, sostanzialmente, viene imposta una qualità della vita decisamente diversa dalla nostra.
E il nodo principale è forse la pesante dittatura che schiaccia il paese: perché per addentrarsi nella ridda di luoghi comuni che ormai avvolge questo paese in realtà assai più misterioso e interessante di quanto si tenda a credere, bisogna partire proprio da lui, dal dittatore, dall’uomo che da un quarto di secolo, con forza bruta e sottile astuzia, domina la politica bielorussa. E se ne volete sapere di più, un giro di perlustrazione sul sito del governo bielorusso può aiutarvi a comprendere a fondo il livello di paternalismo che vige nel paese.